Invito alla lettura

Vedevo da lontano la piccola mole scura della roccia circondata da un alone accecante per la luce e il pulviscolo del mare. Pensavo alla fresca fonte dietro la roccia. Avevo desiderio di ritrovare il mormorio dell’acqua, desiderio di fuggire lontano dal sole, dalla fatica, dai pianti di donna, desiderio infine di ritrovare l’ombra e il riposo dell’ombra. Ma quando sono stato vicino, ho visto che l’uomo di Raimondo era ritornato.

Era solo. Riposava supino, le mani sotto la nuca, la fronte nell’ombra della roccia e tutto il corpo al sole. La sua tuta fumava nell’aria calda. Sono rimasto un po’ stupito. Per me era una storia finita, ed ero venuto lì senza pensarci affatto. Appena mi ha visto se è sollevato un po’ e ha messo la mano in tasca. Io, naturalmente, ho stretto la rivoltella di Raimondo nella giacca. All’ora si è abbandonato di nuovo all’indietro, ma senza togliere la mano di tasca. Ero abbastanza distante da lui, a una decina di metri. A tratti indovinavo il suo sguardo dietro le palpebre socchiuse. Ma più spesso la sua immagine ballava davanti ai miei occhi, nell’aria infuocata. Il rumore delle onde era ancora più pigro, più ritmato che a mezzogiorno. Era quello stesso sole, quella stessa luce nella stessa spiaggia, che ora si prolungava qui. Erano già due ore che la giornata non avanzava, due ore che aveva gettato l’àncora in un oceano di metallo fuso. All’orizzonte è passata una piccola nave e ne ho intravisto la macchia nera con la coda dell’occhio perchè non cessavo di fissare l’arabo.

Pensai che potevo cavarmela facendo un semplice dietro-front. Ma dietro a me si addossava tutta un spiaggia vibrante di sole. Ho fatto qualche passo verso la fonte. L’arabo non si è mosso. In fondo, era ancora piuttosto lontano. Forse a causa delle ombre che aveva sul viso, mi sembrò che ridesse. Ho aspettato. Ora il sole mi bruciava anche le guance e ho sentito gocce di sudore accumularsi nelle sopracciglia. Ero lo stesso sole di quel giorno che avevo sotterrato la mamma e, come allora, era la fronte che mi faceva più soffrire: tutte le vene mi battevano insieme sotto la pelle. A causa di quel bruciore che non potevo più sopportare ho fatto un movimento in avanti. Sapevo che era stupido, che non mi sarei liberato dal sole spostandomi di un passo. Ma ho fatto un passo, un solo passo in avanti. E questa volta, senza alzarsi, l’arabo ha estratto il coltello e me lo ha presentato nel sole. La luce ha balenato sull’acciaio e fu come una lunga lama scintillante che mi colpisse alla fronte. In quello stesso momento, il sudore delle mie sopracciglia è colato di colpo giù sulle palpebre e le ha ricoperte di un velo tepido e denso. Non sentivo più altro che il risuonar del sole sulla mia fronte e, indistintamente, la sciabola sfolgorante sprizzata dal coltello che mi era sempre di fronte. Quella spada ardente mi corrodeva le ciglia e frugava nei miei occhi doloranti. E’ allora che tutto ha vacillato. Dal mare è rimontato un soffio denso e bruciante. Mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per lasciar piovere fuoco. Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano sulla rivoltella. Il grilletto ha ceduto, ho toccato il ventre liscio dell’impugnatura e è là, in quel rumore secco e insieme assordante, che tutto è cominciato. Mi sono scrollato via il sudore ed il sole. Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno, lo straordinario silenzio della spiaggia dove ero stato felice. Allora ho sparato quattro volte su un corpo inerte dove i proiettili si insaccavano senza lasciare traccia. E furono come quattro colpi secchi che battevo sulla porta della sventura.

Lo straniero – Albert Camus . Gallimard – 1942

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