Hiroshima mon amour è un film del 1959 diretto da Alain Resnais. Il soggetto e la sceneggiatura sono della scrittrice Marguerite Duras, candidata all’Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 1961.
Il film è noto come una delle prime opere della Nouvelle Vague e per l’uso innovativo dei flashback.
Un architetto giapponese ed un’attrice francese trascorrono assieme un’intensa notte di passione. Da quel rapporto prende il via quella che sembra destinata ad essere una storia d’amore a lieto fine. Improvvisamente, quanto inevitabilmente, iniziano ad affacciarsi gli spettri del recente passato. Spettri che investono soprattutto la fragile ragazza parigina. Tramite un innovativo e sorprendente uso dei flashback, il regista ci mostra il dolore della guerra – soprattutto di ciò che lascia in noi nel dopoguerra – visto attraverso gli occhi smarriti di una singola persona e, simultaneamente, il dolore collettivo, dignitoso al punto da commuovere, della città che ha sofferto il bombardamento atomico. Un precedente amore “impossibile”, vissuto dalla protagonista, in Francia, durante la guerra, finisce tragicamente con la morte dell’innamorato (un soldato tedesco). La conseguente elaborazione del lutto, in qualche modo, fa scaturire in lei il desiderio di vivere a Hiroshima, dove si trova per girare un film e, forse, dove spera di poter diluire le sue pene tramite la condivisione del suo con il dolore collettivo della città e di un popolo intero. Ma è tutta una triste finzione: scoprirà che il proprio dolore lo si affronta sempre e soltanto da soli. Lo stesso film pacifista nel quale lei lavora (interpretando il ruolo di una crocerossina), altro non fa che acuire il suo errore, cioè l’inganno col quale essa anela di ritrovare la serenità perduta allontanandosi dalla realtà, fingendone una nuova…
Grazie ad un abilissimo montaggio, il passato di lei (la Francia) ed il presente (il Giappone) si accavallano e si rincorrono senza una vera soluzione di continuità e, soprattutto, senza una risposta definitiva, nemmeno quando il dolore collettivo della città (quindi la sua memoria) si sintetizza nel dignitoso volto dell’uomo, il quale, dinanzi alla domanda di lei, risponde dicendole che il suo nome è Hiroshima.
Alain Resnais (Vannes, 3 giugno 1922) è un regista francese. Si distingue anche per la sua attività di teorico del cinema. Fu uno degli ispiratori teorici della Nouvelle Vague, di cui fu sempre punto di riferimento, pur non aderendovi mai ufficialmente
Caratteristiche principali della sua opera
L’opera di Alain Resnais rimette in causa i codici della narrazione cinematografica tradizionale: il regista abolisce il racconto a intrigo per esplorare le combinazioni narrative, le analogie, le realtà aleatorie e non lineari. Le costruzioni narrative fanno così incrociare diversi personaggi, percorsi temporali o piani di realtà nello stesso luogo (come succede per esempio in L’anno scorso a Marienbad e La vita è un romanzo) o in universi volutamente artificiali e teatrali (Smoking/No Smoking, Pas sur la bouche, Parole, parole, parole…). La costruzione artificiale a anti-naturalistica del racconto permette al regista di indagare nei dettagli la condizione umana dei suoi personaggi, studiati come animali in gabbia (Mio zio d’America è l’esempio paradigmatico). A questa ricerca si aggiunge il minuzioso lavoro di montaggio (sempre curato o supervisionato dal regista, ex montatore) che giustappone spazi e tempi per sondare la memoria e l’immaginazione collettive o individuali; un processo che permette a Resnais di illustrare il caos di esistenze fatte di immagini contraddittorie, frammenti di ricordi, avvenimenti vissuti o immaginati, uniti in modo più simile alla realtà sensibile che all’ordine e alla regolarità della narrazione classica. Questa costruzione unisce il “tempo sensibile” caro a Proust con una composizione filmica vicina alla musica sinfonica (evidente in film come Hiroshima mon amour, Je t’aime, je t’aime e Providence
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La fruizione di un film è sempre un’ esperienza “irripetibile”, soprattutto se è un film importante, di passaggio tra un’epoca e l’altra, come Massimo, prima del film, ci ha spiegeto essere nel caso di specie. “Hiroshima mon amour” per me è stata un’esperienza irripetibile e totalizzante di corpi, di parole, di immagini, di ritorni. Ascoltare le parole della Duras è stato come assistere alla lettura di un libro attraverso le immagini: le voci, gli umori, l’angoscia e poi, nel caos, la guerra.