INVITO ALLA LETTURA – DANIEL ZIMMERMAN

La stanza è completamente spoglia, fatta eccezione per una fila di pagliericci stesi direttamente sul pavimento e di una sporcizia disgustosa, inzuppati di urina, macchiati di escrementi semisolidi o di deiezioni liquide. In mezzo a questo scompiglio, tra un cumulo di bagagli, marciscono un centinaio di bambini dai due ai dodici anni. Sparpagliati qua e là, qualche bambola e orsetto di peluche. nessuno sta giocando, rare le lacrime, inesistenti i sorrisi. I ragazzi più grandicelli, con l’espressione grave delle persone anziane, accompagnano i piccini ai secchi che si trovano all’ingresso. Lunghe sedute, le pance dilatate dei bimbi si svuotano a violente raffiche, asciugamani e strofinacci ancora sudici per pulire i diarroici. Sono le conseguenze della dieta a base di sola zuppa di cavoli, commenta laconica Myriam, non le è riuscito di ottenere nè latte nè brodo di legumi nè farmaci. Francois suggerisce il carbone di legna, con lui ha funzionato. La ragazza scuote la testa, impossibile farglielo prendere, troppo cattivo anche diluito in acqua . Francois è soprattutto sconvolto dall’aria rassegnata dei bambini, dai loro lineamenti immobili, dai loro sguardi vitrei. Che ci fanno qui? Non sono mai stati lussiriosi, avari, barattieri, eretici, ruffiani, simoniaci, falsari, traditori della patria o adulatori per meritare di starsene sprofondati così nel fiume di merda della decima bolgia dell’ottavo cerchio. E quel che più conta, Dante non ha mai incontrato un solo bambino nell’Inferno.

D. Zimmerman, “La città dolente“, p. 76

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Shadì a Togunà

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Shadì a Togunà domenica 28.02.2010 H. 19.00

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MIGRANTI – COME UN UOMO SULLA TERRA – DUBA

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TOGUFILM – Venerdì 19.02.2010 h. 21.30

Hiroshima mon amour è un film del 1959 diretto da Alain Resnais. Il soggetto e la sceneggiatura sono della scrittrice Marguerite Duras, candidata all’Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 1961.
Il film è noto come una delle prime opere della Nouvelle Vague e per l’uso innovativo dei flashback.
Un architetto giapponese ed un’attrice francese trascorrono assieme un’intensa notte di passione. Da quel rapporto prende il via quella che sembra destinata ad essere una storia d’amore a lieto fine. Improvvisamente, quanto inevitabilmente, iniziano ad affacciarsi gli spettri del recente passato. Spettri che investono soprattutto la fragile ragazza parigina. Tramite un innovativo e sorprendente uso dei flashback, il regista ci mostra il dolore della guerra – soprattutto di ciò che lascia in noi nel dopoguerra – visto attraverso gli occhi smarriti di una singola persona e, simultaneamente, il dolore collettivo, dignitoso al punto da commuovere, della città che ha sofferto il bombardamento atomico. Un precedente amore “impossibile”, vissuto dalla protagonista, in Francia, durante la guerra, finisce tragicamente con la morte dell’innamorato (un soldato tedesco). La conseguente elaborazione del lutto, in qualche modo, fa scaturire in lei il desiderio di vivere a Hiroshima, dove si trova per girare un film e, forse, dove spera di poter diluire le sue pene tramite la condivisione del suo con il dolore collettivo della città e di un popolo intero. Ma è tutta una triste finzione: scoprirà che il proprio dolore lo si affronta sempre e soltanto da soli. Lo stesso film pacifista nel quale lei lavora (interpretando il ruolo di una crocerossina), altro non fa che acuire il suo errore, cioè l’inganno col quale essa anela di ritrovare la serenità perduta allontanandosi dalla realtà, fingendone una nuova…
Grazie ad un abilissimo montaggio, il passato di lei (la Francia) ed il presente (il Giappone) si accavallano e si rincorrono senza una vera soluzione di continuità e, soprattutto, senza una risposta definitiva, nemmeno quando il dolore collettivo della città (quindi la sua memoria) si sintetizza nel dignitoso volto dell’uomo, il quale, dinanzi alla domanda di lei, risponde dicendole che il suo nome è Hiroshima.
Alain Resnais (Vannes, 3 giugno 1922) è un regista francese. Si distingue anche per la sua attività di teorico del cinema. Fu uno degli ispiratori teorici della Nouvelle Vague, di cui fu sempre punto di riferimento, pur non aderendovi mai ufficialmente
Caratteristiche principali della sua opera
L’opera di Alain Resnais rimette in causa i codici della narrazione cinematografica tradizionale: il regista abolisce il racconto a intrigo per esplorare le combinazioni narrative, le analogie, le realtà aleatorie e non lineari. Le costruzioni narrative fanno così incrociare diversi personaggi, percorsi temporali o piani di realtà nello stesso luogo (come succede per esempio in L’anno scorso a Marienbad e La vita è un romanzo) o in universi volutamente artificiali e teatrali (Smoking/No Smoking, Pas sur la bouche, Parole, parole, parole…). La costruzione artificiale a anti-naturalistica del racconto permette al regista di indagare nei dettagli la condizione umana dei suoi personaggi, studiati come animali in gabbia (Mio zio d’America è l’esempio paradigmatico). A questa ricerca si aggiunge il minuzioso lavoro di montaggio (sempre curato o supervisionato dal regista, ex montatore) che giustappone spazi e tempi per sondare la memoria e l’immaginazione collettive o individuali; un processo che permette a Resnais di illustrare il caos di esistenze fatte di immagini contraddittorie, frammenti di ricordi, avvenimenti vissuti o immaginati, uniti in modo più simile alla realtà sensibile che all’ordine e alla regolarità della narrazione classica. Questa costruzione unisce il “tempo sensibile” caro a Proust con una composizione filmica vicina alla musica sinfonica (evidente in film come Hiroshima mon amour, Je t’aime, je t’aime e Providence

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INVITO ALLA LETTURA – MARCEL PROUST

Temendo che il piacere tratto da quella passeggiata solitaria potesse affievolire in me il ricordo della nonna, cercavo di ravvivarlo pensando a qualche grave sofferenza morale che l’aveva afflitta: sofferenza che, al mio richiamo, tentava di costruirsi nel mio cuore, slanciandovi i suoi immensi pilastri; ma il mio cuore, certo, era troppo piccolo per contenerla, non avevo la forza di reggere un dolore così grande, la mia attenzione veniva meno nel momento in cui esso si riformava intero, e le sue arcate precipitavano prima di essersi ricongiunte, così come crollano le onde prima d’aver compiuto la prima volta. Ma sarebbero bastati i miei sogni, quando dormivo, a farmi capire che il mio dispiacere per la morte della nonna s’attenuava, giacchè lei vi appariva meno oppressa dall’idea ch’io mi facevo del suo nulla. La vedevo sempre malata, ma in via di ristabilirsi; la trovavo meglio. E se alludeva a ciò che aveva sofferto, io le chiudevo la bocca con i miei baci, assicurandole che, adesso, era guarita per sempre. Avrei voluto far constatare agli scettici che la morte è davvero una malattia da cui ci si salva. Solo, non trovavo più nella nonna la ricca spontaneità d’una volta. Le sue parole non erano che una replica indebolita, docile, quasi una semplice eco delle mie: lei non era più che il riflesso del mio pensiero.

(MARCEL PROUST – ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO – SODOMA E GOMORRA II)

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togufilm – programma – rassegna “Free Cinema”

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TOGUFILM – Venerdì 05/02/2010 H. 21.30

Quadrophenia, un film prodotto nel 1979 e diretto da Franc Roddam. È stato tratto dall’omonimo album degli Who del 1973 che ne sono anche i produttori esecutivi, e ripercorre punto per punto le canzoni in esso contenute. Film da vedere su “grande” schermo e con la dovuta amplificazione (ossia le nostre due “nuove” casse!).

La presentazione del film sarà curata da Luca Scarnati

Come alcuni di voi sapranno gli appuntamenti sono organizzati in modo tale che un film al mese viene scelto da chiunque lo voglia proporre, mentre il resto della programmazione è curata da Massimo Tarquini. Per il film di domani Luca lo ha proposto e lo presenterà.
Dunque, chi lo desidera può proporre un film da vedere prossimamente.

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Primo Levi – lettera inedita

 

Kattowice 6 giugno 1945
Bianca carissima, finalmente mi si presenta un´occasione di comunicare con l´Italia con una certa garanzia di arrivo a destinazione. Io non accompagno il latore della presente che viaggia con mezzi suoi solo perché le finanze non me lo permettono, ed inoltre perché il giorno del rimpatrio collettivo sembra prossimo.
Come i pochi compagni italiani superstiti, io sono vivo per miracolo. Al momento in cui i tedeschi hanno abbandonato l´Alta Slesia, io ero convalescente di scarlattina nell´Ospedale di Monivitz con altri ottocento malati; pare che i tedeschi avessero ordine di ucciderci (come fecero altrove in altre circostanze) e forse non ne ebbero il tempo. Sono riuscito a sfamarmi alla meglio, per dieci giorni sfuggendo a un tremendo bombardamento, poi il 27 gennaio, sono arrivati i russi. Dopo parecchi pellegrinaggi, sono finito qui, in un campo cosiddetto “di attesa”. Effettivamente, tutti gli stranieri che hanno soggiornato qui sono stati smistati verso le relative patrie, solo gli italiani attendono ancora. Di coloro che partirono con me da Fossoli siamo ora qui in sei.
Degli inabili al lavoro (donne, vecchi, bambini) non abbiamo che pochissime notizie, risulta purtroppo certo che Vanda Maestro è morta. Luciana Nissim partì in settembre per Breslavia: forse si è salvata. Di noi 95 del campo di Monivitz, 75 sono morti colà di fame e di malattia; quattordici furono deportati dai tedeschi in fuga (fra questi Alberto della Volta di Brescia, Franco Sacerdoti di Torino, l´ing. Aldo Levi di Milano, Eugenio Gluecksmann di Milano). Di loro non si hanno notizie sicure, ma corrono voci assai preoccupanti sulla loro sorte.
Restiamo noi sei. Qui non si sta male. Si mangia in abbondanza (ma la cucina russa richiede stomaci appositi) si dorme bene, non si lavora, si gode una certa libertà, per cui con un po´ di iniziativa si può circolare, pagarsi il lusso di qualche alimento extra, di qualche cinematografo, o almeno qualche visita economica turistica alla città. Siamo ora più di mille italiani, fra prigionieri di guerra, politici e “rastrellati”. La popolazione è molto benevola, i russi anche. Non credere a quanto ho potuto scrivere da Monovitz; l´anno passato sotto le SS è stato spaventosamente duro a causa della fame, del freddo, delle percosse, del pericolo costante di essere eliminato in quanto inabile al lavoro.
Porterò (spero) in Italia il numero di matricola tatuato sul braccio sinistro, documento di infamia non per noi, ma per coloro che ora cominciano ad espiare. Ma la maggior parte dei miei compagni portano nelle carni più gravi segni delle sofferenze patite. Spero di poter salire presto la tradotta: ad ogni modo tieni presente che il servizio postale non è ancora regolare e ti sarei gratissimo se tu cercassi di affidare ad un polacco o un russo rimpatriante anche sommarie notizie delle mie carissime e di Voi tutti. Con l´incarico una volta giunto in Polonia di scriverle indirizzando a , presso il Comitato Ebraico di qui. CENTRANLY KOMITET ZYDOW POLSKICH – KATOWICE ULICA MARIAWKA 21.
Viviamo qui con l´ansia terribile di qualche vuoto al nostro ritorno: se fossimo rassicurati su questo, non ci sarebbe grave l´attesa. Ti prego tenta tutte le vie: Croce Rossa, Svizzera, i partiti: pensate alla nostra tremenda incertezza
Il mio cuore è con Voi.
(Torino, Archivio Ebraico “B. e A. Terracini”, Delegazione per l´assistenza agli emigranti ebrei
(Delasem), Privati, enti diversi. Fascicoli nominativi (L) 1945-1946, n. 82 sottofascicolo 62)

“Repubblica del 24.01.2010″

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Sabato 16.01.2010 – Sergio Ferraris – Cff e il Nomade venerabile

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